Roberto Scano, Presidente IWA e consulente AgID, oggi insieme a noi per parlare di trasformazione digitale tra professionalità e competenze. Dove si posiziona l’Italia nella trasformazione digitale? Come si regolano le competenze digitali? Secondo quale logica si possono/devono scegliere i professionisti digitali? a cura di Francesca Anzalone
Secondo l’UE servono quasi un milione di esperti ICT entro il 2020, ovvero mancano competenze in aziende per far crescere la loro digitalizzazione.
Secondo te siamo davvero in piena trasformazione digitale? Abbiamo davvero compreso le potenzialità di questo fenomeno? Siamo in grado oggi di stare al passo con i tempi e le metodologie del resto d’Europa?
Diciamo sempre che l’Italia è il fanalino di coda del digitale. Se ci giriamo intorno ci rendiamo conto che siamo un popolo digitalizzato per consumo: siamo imbattibili nell’uso di Facebook e Whatsapp, e siamo allo stesso tempo diffidenti degli acquisti on line e dell’uso delle tecnologie digitali. Le statistiche europee parlano di un’italiano su due che non usa frequentemente internet…. Senza considerare che per l’Europa il “frequentemente” corrisponde a “almeno una volta a settimana”. Oltre all’evoluzione informatica abbiamo avuto anche l’evoluzione normativa spesso non capita e/o sconosciuta ai più. Già da oltre 10 anni teoricamente possiamo utilizzare le tecnologie informatiche per accedere a servizi e informazioni della PA. Il teoricamente è chiaramente sottolineato, in quanto solo ora a seguito di obblighi normativi si sta digitalizzando l’erogazione di informazioni e servizi (anche se, purtroppo, spesso per incompetenze informatiche si analogizza il procedimento digitale). L’Europa da anni si occupa non solo di misurare il livello di digitalizzazione, ma anche di aiutare gli stati membri a far crescere le competenze digitali. In questo, l’Italia è tutt’altro che fanalino di coda.
Partiamo immediatamente da una problematica che quotidianamente emerge rispetto alle professionalità digitali, ovvero la mancanza di cultura rispetto alle professioni digitali, alle competenze e probabilmente ad una normazione (poco nota) che permetta di mettere un po’ d’ordine.
Questo problema è risolto “sulla carta”. L’Italia già dal 2013 ha una legge (arrivata con 20 anni di ritardo), la legge n. 4/2013, che riconosce le professioni non regolamentate, in cui gravitano gran parte delle professionalità operanti nel settore ICT. In ambito di normazione tecnica esiste sempre dal 2013 la norma UNI 11506, che di fatto recepisce (prima in Europa), il modello di riferimento europeo per la catalogazione delle competenze digitali del settore ICT (e-CF). Tale attività italiana ha portato alla nascita di un gruppo di lavoro europeo (presso CEN) per rendere norma tecnica europea il modello e-CF. Gli italiani inoltre hanno fatto un passo in più. È in fase di pubblicazione una norma tecnica UNI fatta di diverse sottonorme (c.d. norma multiparte) in cui si sono definiti (primi in Europa) i criteri per creare dei profili di competenza ICT, nonché una serie di profili pronti da utilizzare: 23 profili generalistici ICT, 25 profili specifici per il Web (nati dalla proposta di IWA) e 12 profili specifici per sicurezza delle informazioni. Tali attività sono già state oggetto di segnalazione nelle linee guida dell’AgID per le competenze digitali (maggio 2014) e sicuramente saranno oggetto di particolare interesse di chi opera nel settore, nonché dei soggetti che devono poter valutare eventuali fornitori. Pensiamo ad una PA che deve acquisire dei prodotti e/o servizi informatici: potrà inserire nei bandi la richiesta di conformità alle suddette norme (di cui terze parti possono rilasciare certificazione).
Che cosa possiamo fare, in questa fase di trasformazione digitale, per supportare imprenditori, amministrazioni pubbliche e professionisti del digitale a lavorare in maniera complementare e strategica?
L’unione fa la forza. Bisogna essere uniti con standard comuni da promuovere ed applicare. Per tale motivo anche in Italia si è creata la grande coalizione per le competenze digitali (presso AgID) dove tutti gli attori segnalano i progetti che possono essere condivisi e riutilizzati. Personalmente credo che lo step essenziale sia una stretta collaborazione tra associazioni professionali (es: IWA, AIP, ANORC, ecc.), ordini (ordine ing.), UnionCamere, associazioni di aziende operanti in diversi settori. Assieme tali soggetti dovrebbero definire una timeline divulgativa e formativa, dopo aver definito gli obiettivi minimi di crescita di competenze digitali. Per avvicinare i soggetti non operanti nel settore ICT è necessario far capire loro i benefici della digitalizzazione: solo esperti operanti nel settore sono in grado di avvicinare tali realtà e portarle per mano ad una vera e reale digitalizzazione. Non basta, ad esempio, l’esperto in azienda che acquisisce servizi informatici e implementa da solo sito Web, promozione, e-commerce, ecc. in quanto – soprattutto oggi – servono diverse professionalità per integrare il web nei processi aziendali (che, il più delle volte, vanno ripensati).
Il digitale è connotato da “poco tempo”, risultati immediati e purtroppo “competenze facili”, ovvero c’è sempre qualcuno che “sa fare” a basso costo. Perché, secondo te si è sviluppato questo fenomeno e in che modo è possibile riportare ad una logica realistica e alla valorizzazione delle competenze?
Come dicevo in precedenza, il motivo è che il cliente non sa cosa compra. Così come quando va al mercato e vede del pesce a 4 eur / kg, e pesce della stessa specie a 18 eur /Kg…. Per lui è sempre pesce e compra quello che secondo lui, anche se costa meno, è pur sempre pesce commestibile. Nel Web è ancora peggio: si pensa che basta saper smanettare per portare l’azienda nel Web. Spesso l’autodidatta è proprio il titolare dell’azienda e/o il parente più stretto che “ne sa” e che espone l’azienda a diversi rischi (dalle sanzioni per mancanza di dati essenziali a danno derivante dalla perdita di dati per mancanza di backup, sistemi di sicurezza informatica, ecc.). Si tratta di lavoro, e come tale va remunerato. Compito della normazione tecnica, grazie alle norme UNI, è proprio quello di far capire la differenza tra un professionista certificato da terzi ed un amatoriale.
Le professioni digitali sono sempre più richieste, mi pare tu parlassi di numeri in crescita fino al 2020. Puoi fornirci numeri e chiarirci quali saranno le professioni più richieste e suggerire a imprenditori, amministrazioni locali e più in generale al sistema qualche indicazione su come selezionare le figure di riferimento?
Secondo l’UE servono quasi un milione di esperti ICT entro il 2020, ovvero mancano competenze in aziende per far crescere la loro digitalizzazione. Il sistema per identificarle è semplice: si chiama e-CF (norma UNI 11506) e norme correlate, e tutti gli attori del settore (enti di formazione, servizi di collocamento, ecc.) dovranno allinearsi a tale sistema di profilazione per garantire all’utenza una scelta chiara delle professionalità di cui necessitano.
Un ultima domanda riguarda proprio la competenza di chi ricerca, e qui il paradosso: secondo te, chi cerca un professionista digitale sa davvero la figura che sta cercando? E che consiglio daresti per non farli cadere nel solito “sa fare un po’ di tutto quindi risparmio”?
Il problema è lo stesso dell’esempio del pesce: come so se il pesce che so comprando è buono? Mi fido del negoziante oppure mi informo, chiedo pareri. Lo stesso vale per il Web: il cliente spesso vuole saltare la fase della progettazione (a pagamento, in cui ci mettiamo a tavolino, vediamo che serve, valutiamo e poi stendiamo un preventivo per lo sviluppo) e vuole “tutto e subito”. Iniziamo noi professionisti a far capire che il tutto e subito un vero professionista non lo fa, e i rischi che si corre da tale scelta. Nelle mie slide uso spesso l’esempio di un tatuatore “improvvisato” che disegna un porcellino con le ali sulla schiena di un energumeno, il quale invece si aspetta un bel pegaso. Così come il tattoo, anche nel Web se si parte male ci si brucia, specialmente oggi. Un’azienda deve quindi richiedere una consulenza di progettazione e deve valutare che in fase di sviluppo l’azienda fornitrice utilizzi un team di persone competenti.