Il 21 novembre al Creactivity di Pontedera, presso il museo Piaggio ho partecipato all’Open Conference dedicata al Design come relatrice. Al tema New Vintage ho immediatamente connesso quello delle emozioni e di una nuova consapevolezza legata all’estetica. E così è nato: Il design delle emozioni: “Ops, ho sacrificato l’emozione”.
Ma come sempre, sono partita da una domanda “ad impatto sociale”: il ruolo cruciale delle emozioni nella comunicazione contemporanea è davvero ancora di moda?
Prima di iniziare questa nuova newsletter voglio dirti come sempre grazie per essere qui, per i tuoi feedback, per le tue testimonianze e per l’affetto con il quale continui a seguire le uscite. E anche per la pazienza nell’attendere il nuovo contenuto, che come sai, esce solo dopo un’attenta e profonda ricerca. E questa volta riguarda mesi di lavoro in aula dedicati all’analisi dell’informazione oggi e della creazione di contenuti, in maniera consapevole e responsabile. Nel prossimo numero, ti anticipo già, ci sarà un approfondimento molto speciale sull’informazione.
Ma torniamo a noi, di emozioni ne parliamo costantemente nel marketing, nella comunicazione, sui social, attraverso le analisi alla base delle strategie, ma quelle emozioni ricercate siamo ancora in grado di provarle? O sono degli obiettivi da raggiungere su un target specifico?
Dove sta il desiderio di viverle, esperirle? Quel mettersi in discussione nel rendersi vulnerabili di fronte ad un oggetto?
Largo ai legami profondi
In un’epoca dominata dall’innovazione tecnologica e dalla ricerca della novità a tutti i costi, dall’informazione (sempre più spesso fake) rischiamo di dimenticare che il cuore pulsante di ogni prodotto, servizio o esperienza è l’emozione che suscita nell’utente. Ma soprattutto il legame che riesce a creare con il “possessore”. Un qualcosa che diventa non sostituibile, in grado di generare il desiderio di ripararlo, garantendo così la possibilità di trasferimento di generazione in generazione. Abbiamo ancora il desiderio di mostrarci “fragili” di fronte al legame con un oggetto (magari di poco valore economico, ma di grandissimo valore affettivo)? Siamo nella società del consumo, dei “must have”, del posizionamento attraverso brand e oggetti, e dunque, chi se ne discosta come viene percepito? Sono ancora di moda le emozioni? O sono state superate con uno “swipe” che ci porta oltre, a consumare anche le relazioni che dovrebbero essere più profonde e significative?
L’emozione è quell’asset che ci permette di far vivere l’oggetto nel tempo, attraverso più epoche, senza farlo mai “passare di moda”. Ma soprattutto che ci permette di conoscerci meglio, scoprirci in una nuova modalità più sostenibile per l’essere.
Il design emozionale, un concetto ormai consolidato, ci ricorda che le persone non acquistano solo funzionalità, ma anche sensazioni, ricordi e valori. Ma soprattutto il ritorno ad un legame profondo con gli oggetti. In un rispetto di valori profondi che ci legano al nostro passato, alle persone che amiamo, a momenti condivisi.
Ma siamo qui per parlare di comunicazione, di marketing e di design e dunque di applicabilità al contesto mercato. Il design delle emozioni dunque ci permette di far leva su aspetti emozionali, che vanno oltre l’estetica, ma che garantiscono anche un beneficio all’ambiente: maggiore sostenibilità. Sì perché quell’oggetto dura nel tempo, non si butta più!
L’emozione come elemento distintivo e sostenibile
In un mondo saturo di stimoli, l’emozione diventa un elemento distintivo, in grado di creare un legame profondo tra un marchio e il suo pubblico; tra l’oggetto e il suo possessore. Il punto è che ci stiamo abituando alla de-materializzazione e alle non-cose. Salviamo tutto su cloud, de realizziamo (sono tutti file), e “disincarniamo” gli oggetti. E il ricordo? Invece di ricercarlo in soffitta salviamo quantità immani di foto, che forse neanche riguarderemo. Ma è davvero ciò che vogliamo o ci lasciamo trascinare dagli eventi? Pensiamoci! Se adesso vi dicessi che ieri sera sul divano ho letto un libro avvolta dal calore della coperta coloratissima realizzata a maglia dalla nonna, quadrato dopo quadrato con gli avanzi di tutti i gomitoli di lana, scommetto che vi ho strappato un sorriso. E ai più giovani ho sbloccato un ricordo, forse di una coperta della bisnonna o forse di quel tutorial visto su TikTok che ripropone quel tipo di coperta, ispirato al “c’era una volta”. Ma questo è il New Vintage! E quella nuova tendenza che ci riconnette con il passato, che ci porta a riflettere su alcune emozioni e che forse, ci spinge a diventare anche più sostenibili.
Vogliamo provare a pensare al New Vintage come ad un’opportunità nuova? Potremmo dire guardare al passato per reinventare il futuro, ma con quali emozioni?
New Vintage Design
Il vintage è di per sé intriso di emozioni: nostalgia, autenticità, bellezza (intesa come estetica). E se dovessi scegliere l’emozione vi direi nostalgia nella sua accezione più completa: rimpianto per qualcosa che non c’è più (sì, certo!), ma anche quella sensazione di felicità che si prova nel rivivere quel ricordo. Ed ecco che si corre a riprendere l’oggetto, quella connessione con l’emozione desiderata. Una specie di Stargate che si apre dentro di noi. Una connessione potente che va oltre qualsiasi “ultimo modello”, che poi se ci pensiamo bene la rivisitazione di modelli iconici ci offre nuove frontiere per il marketing, la comunicazione e le vendite, senza desiderare di disfarcene!
Riportarlo in auge con un’ottica contemporanea significa dare vita a prodotti e servizi che evocano ricordi e sensazioni positive, ma allo stesso tempo rispondono alle esigenze del presente. Immaginiamo di dover disegnare nuovi prodotti e nuovi servizi in grado di costruire la più forte connessione con l’utente. Beh, stiamo creando “la storia”. Ma il punto è: noi siamo ancora in grado di provare e ritrovare quelle emozioni di una volta? Desideriamo riconnetterci con le emozioni del passato? E in che termini? Perché attenzione, il più potente nemico tra le emozioni di oggi è la noia.
Oggi dunque abbiamo una missione, combattere la noia. Ma non quel lato positivo della noia, così fondamentale a bambini, adolescenti e perché no, anche agli adulti che li mette nella condizione più favorevole per la creatività. Parliamo di quel lato che non ha più la capacità di “restare”, di coltivare, di confrontarsi per non gettare via tutto e subito, a beneficio di una gratificazione istantanea. Riflettiamoci: quante volte ogni giorno sentiamo “questo prodotto mi ha annoiato, stancato, stufato”. E’ davvero ciò che desideriamo sentire? Per citare un filosofo contemporaneo che amo particolarmente “siamo la società della stanchezza, delle non cose, dell’infocrazia”, ma possiamo riconnetterci con le emozioni più profonde.
Prima di salutarti ti lascio con un verbo, che vorrei accompagnasse le tue riflessioni di oggi e della settimana: Restare. Un verbo che amo particolarmente e che mi ricorda l’impegno, la dedizione e il dialogo costante che mette in relazione le persone, i luoghi, le emozioni.
Come sempre ti invito a seguirmi anche nelle storie di Instagram, dove quotidianamente condivido pensieri, riflessioni e letture. Alla prossima riflessione consapevolmente connessi,
Un abbraccio
Francesca